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I vasi canopi (o canopici) erano contenitori usati nell'Antico Egitto per conservare i visceri estratti dal cadavere durante la mummificazione e rappresentavano una caratteristica costante del rituale funebre egizio.
Il termine "canopo" deriva dal greco ed indica, per la forma, il tributo pagato dai Greci al dio Canopo[1], divinità a forma di giara con testa umana[2] ma che non aveva alcuna relazione con i visceri mummificati degli Egizi[3].
Un'altra teoria indica invece l'origine del termine nel culto di Osiride, rappresentato con forma di vaso, praticato dagli abitanti della città di Canopo, sul delta del Nilo[4].
Il termine egizio per i vasi canopi era Qebey en ut[5].
In origine, nell'Antico Regno, i visceri estratti dal corpo del defunto venivano riposti in una cassetta a 4 scomparti (il primo rinvenimento di tal genere nella tomba di Hetep,[4] madre di Cheope, il cui corredo, completo, si trova al Museo egizio del Cairo). Solo con il Medio Regno, e segnatamente con la XII dinastia, viene introdotto l'uso dei veri e propri vasi canopi, con coperchio a forma di testa umana, generalmente in onice, contenuti in una cassetta a scomparti protetta da quattro dee (Iside, Nephtys, Neith e Selkis). Con il Secondo Periodo Intermedio si ritorna alla deposizione dei visceri in una cassetta unica suddivisa in quattro scomparti mentre, con il Nuovo Regno e segnatamente con la XIX dinastia, si instaura l'usanza dei vasi canopi dotati di coperchi che rappresentano le teste dei quattro Figli di Horo[1] che avranno un posto di rilievo anche nella cerimonia della psicostasia:
I vasi canopi, a loro volta, sono contenuti in una scatola lignea a forma di santuario protetto dalle quattro dee.[1] Durante il Terzo Periodo Intermedio, con la XXI dinastia, gli organi interni vengono imbalsamati e riposizionati all'interno del corpo; esistono, tuttavia, i vasi canopi, ma, in qualche caso, si tratta di simulacri, in quanto i vasi stessi non sono cavi.[4] Con la XXV dinastia, infine, i vasi canopi ricompariranno funzionalmente, così come in epoca Tolemaica.
Sin dall'epoca villanoviana le ceneri di alcuni defunti etruschi di rago venivano collocate in urne che, quasi a voler rievocare l'integrità fisica dopo la cremazione, venivano coperte da un elmo, facilitando così anche l'individuazione di una sepoltura da un'altra[6].
Nel corso del VII secolo a.C. a Chiusi e nel suo territorio questa usanza si sviluppò con la creazione di ossuari costituiti da un vaso globulare in lamina bronzea, posto su un trono e davanti a una tavola simbolica (trapeza), come a riprodurre il defunto durante un banchetto, circondato dalle insegne del potere e dai simboli del suo censo. Gli esemplari più antichi avevano un coperchio a calotta emisferica, detto "a tappo di champagne", che in alcuni casi poteva presentare dei lineamenti sommariamente delineati[6].
Verso la fine del secolo tale rappresentazione divenne ancora più esplicita configurando il coperchio con una rappresentazione del volto e poi, negli esemplari più evoluti, come una testa a tutto tondo, corredata anche da buchi in cui venivano inseriti capelli, barba e orecchini; tale forma venne poi definita dagli etruscologi "canopo", per la similitudine formale coi vasi egizi, sebbene la loro funzione fosse ben diversa: non per contenere le viscere, ma le ceneri del corpo[6]. Tale tipologia di sepoltura si diffuse fino al VI secolo a.C.
Negli esemplari più elaborati anche il cinerario era dotato di ulteriori elementi antropomorfi, quali braccia, anche applicate a parte, e seni nel caso di canopi femminili[6]. Sarebbe comunque improprio parlare di veri a propri ritratti, perché le caratteristiche fisiche sono abbastanza standardizzate e ridotte ad alcune tipologie: il loro scopo era infatti la sommaria individuazione del defunto, non la fedele riproduzione delle sue fattezze.
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