In questo articolo esploreremo l'impatto di Loredan su diversi aspetti della società moderna. Fin dalla sua comparsa sulla scena pubblica, Loredan ha suscitato grande interesse e dibattito tra esperti e cittadini. La sua influenza si è estesa a vari ambiti, dalla politica all'economia, alla cultura e all'intrattenimento. Nelle prossime righe analizzeremo nel dettaglio come Loredan ha cambiato il modo in cui viviamo, pensiamo e ci relazioniamo con gli altri.
Sebbene i Loredan fossero sostenitori del tradizionale orientamento marittimo di Venezia e vedessero con diffidenza la sua espansione sulla terraferma italiana, svolsero un ruolo chiave nello sviluppo territoriale e, in ultima analisi, nella storia della Repubblica di Venezia, contribuendo all'espansione dei suoi Domini di Terraferma e dello Stato da Màr. La famiglia ebbe un ruolo importante nella guerra della Lega di Cambrai, con il doge Leonardo Loredan che condusse Venezia alla vittoria contro lo Stato Pontificio, che costrinse il papa a pagare alla famiglia Loredan un risarcimento finanziario di circa 500.000 ducati, un'enorme quantità di denaro, che la rese una delle famiglie più ricche del mondo all'epoca. Inoltre, molti dei suoi membri si distinsero come ammiragli e generali nella difesa dell'Europa dalle conquiste ottomane durante le guerre ottomano-veneziane. I loro vari trionfi navali sono stati onorati con l'incrociatore ausiliario MV Loredan della Regia Marina italiana.
La ricchezza della famiglia Loredan a Venezia era leggendaria e raggiunse probabilmente il suo apice nel XVIII secolo, quando possedeva numerosi palazzi, centinaia di tenute e vaste proprietà terriere nei territori della Repubblica, principalmente in Veneto, Friuli, Istria e Dalmazia . Oltre al commercio della seta e delle spezie, parteciparono anche alla tratta degli schiavi nel Medioevo e furono, più di una volta, accusati di usura e sodomia, spesso da rivali politici di lunga data come le famiglie Faliero e Foscari. Nei casi di corruzione, aggressione, omicidio e altri scandali, quando erano coinvolti membri della loro stessa famiglia, i Loredan di solito adottavano una politica di clemenza e assoluta tolleranza, e cercavano di risolvere le accuse tramite minacce o corruzione.
Sotto il governo dei Loredan, nel 1516 fu creato a Venezia il primo ghetto ebraico del mondo, anche se alcuni membri della famiglia si erano espressi in Senato a favore della riduzione della somma che gli ebrei dovevano pagare per la loro "condotta". A partire dal XVII secolo, i Loredan si distinsero per aver sostenuto e accolto gli ebrei che arrivavano a Venezia.
Oggi lo stemma dei Loredan, che raffigura sei fiori d'alloro (o rosa) su uno scudo giallo e azzurro, è esposto su numerosi edifici e palazzi nei territori un tempo controllati dalla Repubblica di Venezia: dal Veneto al Friuli, dall'Istria alla Dalmazia, e nei possedimenti più lontani come le Isole Ionie e Creta. A Venezia è addirittura scolpito sul Ponte di Rialto e sulla facciata della Basilica di San Marco.
Origine ed etimologia
Stemma dei Loredan (XVI secolo)
Gli storici del passato, basandosi più su tradizioni che su fatti certi, individuarono l'origine della famiglia nei Mainardi, a loro volta discendenti da Muzio Scevola (detto Manum ardeo). Acquisirono poi il cognome di Laureati, Lauretani e Loredani per le glorie conseguite. Sempre secondo le dicerie, fondarono Loreo nell'816 e si trasferirono in Laguna nel 1015. I primi riferimenti scritti si hanno però a partire dall'XI secolo.[1]
Secondo quanto scrisse il filosofo italiano del XVI secolo Jacopo Zabarella nella sua opera Trasea Peto, i Loredan erano già signori di Bertinoro in Emilia-Romagna, ed erano di illustre antica stirpe derivata da Roma, dove si erano guadagnati grande fama per le numerose vittorie riportate in battaglia.[2] Per questo motivo i Romani li chiamarono Laurae, poi Laureati per la loro eccellenza e più tardi Lauretani per la corruzione, a causa della quale furono cacciati da Bertinoro. Poi andarono a Ferrara e infine a Venezia, dove costruirono il Castello di Loredo. Per la loro nobiltà, nonché per le ricchezze possedute, vennero ascritti dalla Repubblica al suo Maggior Consiglio nel 1080, con la persona di Marco Loredan. Zabarella nota anche che la famiglia possedeva la signoria di Antipario (oggi Antiparos, Grecia) nel Mar Egeo, e più recentemente la contea di Ormelle nella provincia di Treviso.[3]
Il nome della famiglia potrebbe derivare anche dal nome del fiore alloro, simbolo di trionfo e nobiltà. Lo stemma della famiglia Loredan presenta sei fiori di alloro (o rosa).[4]
Il nome potrebbe anche significare "proveniente da Loreo", come a descrivere una persona originaria dell'omonima cittadina. Gli abitanti di Loreo oggi sono chiamati "Loredani".
Nel corso della storia, la famiglia è stata organizzata e divisa in molti rami, molti dei quali tradizionalmente prendono il nome da toponimi veneziani. Alcune delle sedi sono: Santo Stefano, San Pantaleone della Frescada, San Cancian, San Vio, Santa Maria, San Luca, San Marcilian, Sant'Aponal.
Oltre al ramo veneziano, esisteva anche un ramo siciliano (Loredani di Sicilia).[5]
Lo stemma della famiglia Loredan presenta uno scudo giallo (in alto) e blu (in basso) con raffigurati sei fiori di alloro (o rosa); tre nella zona gialla e tre in quella blu. Sulla sommità dello stemma è posto il corno ducale, corona cerimoniale e noto simbolo del Doge di Venezia.[6] È esposto su numerosi edifici e palazzi nei territori precedentemente controllati dalla Repubblica di Venezia: dal Veneto al Friuli, dall'Istria alla Dalmazia, e nei possedimenti più lontani come le Isole Ionie e Creta. A Venezia è addirittura scolpito sul Ponte di Rialto e sulla facciata della Basilica di San Marco.[7]
Stemma dei Loredan nel Panegyricus Leonardo Lauredano, 1503
La bella facciata della Ca' Loredan Vendramin Calergi in pietra d'Istria reca l'iscrizione latina: Non nobis Domine.[8] Il versetto deriva dall'Antico Testamento (Salmo 115:1) e fu l'inizio di un famoso motto inciso sulla bandiera di guerra dei Cavalieri Templari: "Nōn nōbīs, Domine, nōn nōbīs, sed nōminī tuō dā glōriam" ("Non a noi, o Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria"). Il verso simboleggiava la gratitudine e l'umiltà dei Templari che, durante le Crociate, combatterono per la gloria di Dio e non per guadagno personale.[9] È noto che Andrea Loredan, il commissario del palazzo, era vicino alle idee e all'eredità dei Templari, per cui il versetto biblico divenne successivamente il motto dell'intera famiglia Loredan.[10] Grazie al suo interesse per la storia dei Templari, si ritiene addirittura che il suo palazzo fosse uno dei luoghi di ritrovo dell'Ordine di San Marco. Andrea, però, non fu solo un generale militare, ma anche un umanista protettore delle arti e, infatti, investì notevoli energie e capitali nel palazzo per ottenere una dimora degna del suo valore e della dignità della sua famiglia. Le foglie di quercia che circondano l'iscrizione rappresentavano nella tradizione latina il difensore della città, cioè colui che si impegna per il bene pubblico, un tema molto caro alla nobiltà veneziana dell'epoca. Con questa iscrizione Andrea Loredan sembra quasi voler nascondere la sua incredibile ricchezza, manifestando così un forte senso di umiltà e di devozione al Signore.[11] L'essenza del motto Loredan è, infatti, una dimostrazione di pietà e umiltà proveniente da una famiglia molto potente.[8]
Il più antico documento conosciuto che menziona la famosa gondola veneziana è un privilegio ducale a favore dei Loredan datato 1094: "Gondulam vero nullam nobis nisi libera voluntate vestra factura estis" ("Ma non ci costruirete una gondola se non per vostra libera volontà").[13]
Nel 1316, Zanotto Loredan si ammalò gravemente, tanto che si pensò fosse morto, e fu portato nella Chiesa di San Maffio a Murano per la sepoltura. Dopo il rito funebre, mentre stavano per deporre il corpo nella tomba, qualcuno notò che il colore del suo viso era cambiato. Fu portato all’ospedale del convento, riscaldato e si riprese. In seguito, visse normalmente, si sposò ed ebbe figli.[14]
Nel 1410, Andrea Loredan, che era conte di Drivasto, saccheggiò la città di tutto il denaro e scomparve con esso. La Signoria lo condannò in absentia poco dopo.[15]
Nella battaglia di Motta del 1412, Pietro Loredan contribuì alla decisiva vittoria veneziana contro l'Ungheria bruciando astutamente i ponti intorno all’accampamento veneziano, impedendo così ai soldati in fuga di scappare durante un improvviso assalto ungherese.[16] Questa decisione calcolata cambiò completamente le sorti dello scontro, riportando i veneziani in combattimento e garantendo loro la vittoria.[17] Dopo la battaglia, Pietro ordinò il bombardamento di Motta, costringendo gli Ungheresi alla resa della città.[18]
Nella battaglia di Gallipoli del 1416, Pietro Loredan guidò la flotta veneziana alla vittoria sugli Ottomani, pur essendo stato ferito da una freccia sotto l’occhio e il naso, da un’altra che gli trafisse la mano sinistra e da diverse altre con minori conseguenze.[19] Dopo la battaglia, catturò 1.100 soldati ottomani, la maggior parte dei quali venne poi venduta come schiavi.[20]
Nel 1423, quando Pietro Loredan perse l’elezione a doge contro il suo acerrimo rivale Francesco Foscari, due delle sue figlie, Maria e Marina, furono deliberatamente date in sposa a Francesco Barbaro ed Ermolao Donà, entrambi oppositori di Foscari. Inoltre, quando Foscari propose un matrimonio tra sua figlia e un figlio di Loredan, la proposta fu rifiutata.[21]
Nel 1500, il Senato veneziano accusò Vincenzo Loredan e altri tre nobili di essere entrati ripetutamente di notte nel Monastero delle Vergine per dormire con alcune monache. Questi incontri continuarono per anni senza essere scoperti o puniti.[22]
Il Ritratto del doge Leonardo Loredan di Giovanni Bellini (1501) è significativo perché fu il primo ritratto frontale di un sovrano italiano. In precedenza, i ritratti frontali erano riservati alle figure sacre, mentre i mortali venivano ritratti di profilo per indicare la loro incompletezza spirituale.[23]
Durante il dogado di Leonardo Loredan, nel 1507, si verificò l’episodio del Fornaretto di Venezia, la storia di un giovane panettiere ingiustamente condannato a morte per un omicidio mai commesso.[24] Il racconto popolare trovò ampia diffusione anche fuori Venezia dopo la pubblicazione nel 1846 del dramma storico in 5 atti di Francesco Dall'Ongaro, che ne riprende le vicende.
Al culmine della guerra della Lega di Cambrai, con le risorse veneziane in declino, il doge Leonardo Loredan diede l’esempio inviando alla Zecca tutti i suoi piatti d’oro e d’argento, nonché i gioielli della sua defunta moglie, affinché venissero fusi per finanziare la difesa della Repubblica.[25] Nel suo discorso al Maggior Consiglio, descritto come un modello di patriottismo ed eloquenza e accolto con entusiasmo, invitò anche gli altri nobili a contribuire quanto più possibile alle spese di guerra.[26]
Nell’iscrizione latina sulla tomba del doge Leonardo Loredan, l’anno della sua morte è erroneamente scritto come MDXIX (1519) invece di MDXXI (1521).
Alla morte del doge Pietro Loredan nel 1570, il popolo veneziano cantava: "Gioite, gioite! È morto il Doge che ci ha dato il miglio nel pane!" e "Viva i nostri santi e signori di nobile schiatta, morto è il Doge che ci portò la disfatta!"[27], riferendosi ai suoi tentativi di affrontare la carestia del 1569-1570 introducendo il pane di miglio, misura per cui fu ritenuto personalmente responsabile della fame.[28]
Un'altra teoria sulla morte di Pietro Loredan sostiene che, anziché essere colpito da una malattia, morì pacificamente nella sua villa nell’Italia orientale. Mentre veniva nutrito con uva dai suoi servitori, la sua amante gli rivolse la parola, facendogli soffocare un acino d'uva. I tentativi di rimuoverlo dalla gola furono vani.
Nel 1598 avvenne un episodio che diede origine alla leggenda del Fantasma di Fosco Loredan.[29] Per un impeto di gelosia nei confronti della moglie Elena, che attirava molti corteggiatori, Fosco Loredan la decapitò al Campiello del Remèr.[30] Il doge Marino Grimani, suo zio, lo condannò a camminare fino a Roma portando sulle spalle il corpo mutilato per chiedere perdono al Papa, l’unico che poteva assolvere un nobile del suo rango.[31] Dopo aver ascoltato la storia, Papa Clemente VIII si rifiutò di riceverlo. Fosco, disperato, tornò a Venezia e si annegò nel Canal Grande. Si dice che, nell'anniversario dell'uccisione della moglie, il suo fantasma vaghi per le strade di Venezia in cerca di pace.[32]
La dogaressa Paolina Loredan decise di non apparire mai nelle cerimonie pubbliche per paura di essere derisa dal popolo a causa della sua corporatura imponente e del suo aspetto poco avvenente.[33]
Nel 1675, vicino a Palazzo Contarini-Sceriman, Leonardo Loredan fu trovato morto in una barca. La sua morte inspiegabile diede origine a molte voci, tra cui ipotesi di morte accidentale, omicidio da parte di parenti o degli Inquisitori di Stato.[14]
Nel 1752, nonostante l’enorme quantità di denaro spesa da Francesco Loredan per le celebrazioni della sua elezione a doge, un sonetto composto per l’occasione lamentava risultati insufficienti, deridendo la musica e affermando che la “macchina” dei fuochi d'artificio aveva riferimenti funebri.[34]
I Loredan furono una delle rare famiglie in cui la proprietà feudale poteva essere ereditata da una donna. Il loro feudo istriano di Barbana e Rachele era l’unico in Istria a consentire la trasmissione ereditaria femminile, permettendo alla famiglia di mantenerne la proprietà fino al 1869, un secolo dopo l’estinzione della linea maschile del ramo di Santo Stefano.[14]
La nave MV Loredan, costruita nel 1936 e intitolata in onore dei numerosi ammiragli Loredan nella storia, fu silurata dal sottomarino britannico HMS Safari il 10 aprile 1943, a 10 miglia dalla costa della Sardegna, mentre trasportava merci da Cagliari all'arcipelago de La Maddalena, servendo come parte della Marina Militare Italiana durante la Seconda guerra mondiale.[35] La nave affondò immediatamente con quasi tutto il suo equipaggio.[36] Il relitto della Loredan giace sul lato sinistro, con la poppa gravemente danneggiata, a una profondità compresa tra 52 e 67 metri, sul fondale del Golfo di Cagliari, alle coordinate 39°08' N e 9°23' E. Oggi è una meta frequente per le immersioni subacquee.[37]
Il nome femminile Loredana, diffuso in Italia e Romania, deriva dal nome della famiglia Loredan.[38] Tra le persone celebri con questo nome figura anche la botanica e dogaressa di Venezia Loredana Marcello (1533-1572).
Note
^Loredàn (o Loredano), in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
^ Giuseppe Tassini, Alcune delle più clamorose condanne capitali eseguite in Venezia sotto la repubblica: Memorie patrie, Tipografie di Gio. Cecchini, 1867.
^ Edgcumbe Staley, The Dogaressas of Venice: The Wives of the Doges, 1910, p. 237.
^ John Julius Norwich, A History of Venice, 2003, p. 419.
^ Renaissance Society of America (a cura di), Venice: A Documentary History, 1450-1630, University of Toronto Press, 2001, p. 112, ISBN9780802084248.
^ Maartje van Gelder, Trading Places: The Netherlandish Merchants in Early Modern Venice, BRILL, 2009, p. 49, ISBN9789004175433.