Nell'articolo di oggi parleremo di Cleobulo, un argomento che nel tempo ha catturato l'attenzione di tantissime persone. Cleobulo è un concetto che ha generato dibattiti e discussioni in diversi ambiti, dal livello personale a quello professionale. Fin dalla sua comparsa, Cleobulo ha suscitato l'interesse di ricercatori, esperti e curiosi che cercano di comprenderne ulteriormente il significato e il suo impatto sulla società. Nel corso della storia, Cleobulo ha dimostrato la sua capacità di influenzare il modo in cui le persone pensano e agiscono, e in questo articolo esploreremo alcune delle ragioni alla base della sua rilevanza e della sua continua presenza nelle nostre vite.
Cleobulo (in greco Κλεόβουλος) (Lindo, VI secolo a.C. – ...) è stato un filosofo greco antico, annoverato tra i Sette sapienti greci [1].
Alcune notizie su questo personaggio vissuto nel VI secolo a.C.[2] ci vengono dall'opera di Diogene Laerzio[3], secondo cui Cleobulo sarebbe stato figlio di Evagora I che vantava una discendenza da Eracle.
Fu noto nell'antichità come autore di tremila versi in poesie e indovinelli tra cui l'epitaffio di Mida e l'indovinello dell'"anno" [4]:
che viene attribuito nell'Antologia Palatina a sua figlia, la poetessa Eumetide, più nota come Cleobulina[8], anch'essa autrice di logogrifi.
Diogene Laerzio cita anche una falsa lettera di Cleobulo diretta a Solone[9].
Secondo Plutarco Cleobulo fu tiranno di Rodi[10] che governò con mitezza risentendo del benefico influsso che la figlia esercitava su di lui[11]. Nella Cronaca di Lindo viene ricordato anche come probabile vincitore dei Lici[12].
Diverso il giudizio di Simonide su Cleobulo che il poeta critica aspramente, soprattutto perché il tiranno compose un epigramma sulla tomba dorata di re Mida (VIII secolo a.C.) della Frigia. L'epigramma è riportato integralmente da Diogene Laerzio (I, 89). Nell'epigramma il tiranno si vanta soprattutto della durata infinita della statua di bronzo della fanciulla che decora la tomba; Simonide considera questa pretesa assurda e tracotante, che cioè un'opera dell'uomo possa sfidare in eterno la natura immortale.
«Chi comunque loderebbe, fidando nel senno,
Cleobulo l'abitando di Lindo,
che con sempiternamente scorrenti rivi
e con fiori e colla fiamma
del sole e della dorata luna,
e con i vortici marini ha parificato
la forza di una stele?
Tutto quanto ecco, è inferiore agli dei:
la pietra, dunque, anche le mortali
palme infrangono;
di uno sciocco uomo è questa velleità»
Il poeta Anacreonte (570 a.C.-485 a.C.) dedicò a un certo Cleobulo, descritto come un affascinante giovane («per beltà e robustezza ragguardevole») [9] diverse poesie d'amore ma molto probabilmente si tratta di un caso di omonimia:
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