Sonnet 130

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Voce principale: Sonetti (Shakespeare).

Sonnet 130 o My mistress' eyes are nothing like the sun è il centotrentesimo dei Sonnets di William Shakespeare.

Analisi del testo

Il sonetto 130 si divide in due parti principali: le tre quartine, dove l'io descrive le qualità negative della propria donna, e il distico, dove, col meccanismo dell'aprosdóketon (inaspettato), afferma di amarla proprio per la sua rarità e differenze e dei nuclei tematici più precisi:

  • prima quartina: spende i suoi pentametri giambici nel raffronto con la donna idealizzata della poesia petrarchista, con cui è messa in confronto la propria dark lady, polemicamente e ironicamente (se bianca è la neve, be', scuri sono i suoi seni[1]). Nel secondo Cinquecento, il modello italiano basato sull'imitazione dei sonetti del Petrarca dilagava nella letteratura inglese: Shakespeare vi si oppone, condannando gli eccessi di fairness delle donne troppo idealizzate e prive d'imperfezioni.
  • seconda quartina: l'io porta la propria personale esperienza, spiegando, senza soluzione di continuità, come la sua dark lady sia meno bella degli standard poetici contemporanei.
  • terza quartina: pur proseguendo nell'affermazione della bruttezza della propria donna rispetto ai canoni (ma ben so io che la Musica ha un suono più gradito[2]), l'io fa un piccolo riconoscimento dell'amore che comunque prova, preludendo così al riscatto nel distico conclusivo, dove arriverà a dire I think my love as rare, as any she belied with false compare, ossia che il suo amore è raro almeno quanto quello delle donne mentite da false comparazioni, cioè l'amore delle inarrivabili donne petrarchesche.

Note

  1. ^ Dalla traduzione di Dario Calimani del v. 3, in Calimani 2009, p.198.
  2. ^ Dalla traduzione di Dario Calimani dei vv. 9-10, in Calimani 2009, p.198.

Bibliografia

  • Dario Calimani, William Shakespeare: i sonetti della menzogna, Carocci, 2009, pp. 198–202.

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