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Sant'Aba il Grande | |
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Patriarca | |
Nascita | Hala, fine V secolo |
Morte | 552 |
Ricorrenza | 28 febbraio |
Aba I patriarca della Chiesa d'Oriente | |
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Nato | fine V secolo a Hala |
Elevato patriarca | 540 |
Deceduto | 552 |
Aba I (Mār Āḇā) (Hala, fine V secolo – 552) è stato un vescovo cristiano orientale e scrittore siro, patriarca della Chiesa d'Oriente dal 540 al 552.
Nato a Hala, in Mesopotamia, alla fine del V secolo da una famiglia zoroastriana,[1] tra il 520 e il 525 si convertì al cristianesimo[1] di dottrina nestoriana,[2] studiò e insegno alla Scuola di Nisibi.[3] Imparò quindi il greco a Edessa[2] e viaggiò a Costantinopoli e in Palestina, Egitto, Grecia, Elam, Persia.[2][4] Fu il fondatore della scuola teologica di Seleucia:[2][4] scrisse di filosofia, astronomia, medicina,[3] fu autore di omelie e di mēmrē,[4] e tradusse dal greco.[3]
Commentatore della Sacra Scrittura, è noto specialmente per un libro in siriaco sul diritto matrimoniale, intitolato Sopra i limiti dei rapporti sessuali e sopra la presa delle donne;[3][4][5] il libro, un commento ai divieti matrimoniali prescritti dal Levitico (XVIII e XX, 10-21), è diviso in cento capitoli o articoli e costituisce il tentativo più antico di letteratura giuridica nell'Oriente cristiano.[5] Aba giustifica le disposizioni dell'Antico Testamento, polemizzando contro le dottrine mazdaico-zoroastriane sul matrimonio, cosa che gli procurò una vera e propria persecuzione.[3][5] Gli viene inoltre accreditata una traduzione delle Scritture, di cui non è rimasta traccia, e la traduzione in siriaco della liturgia di Nestorio.[2]
Fu vescovo di Seleucia-Ctesifonte e patriarca della Chiesa d'Oriente dal 539/540 al 552.[5] Riorganizzò la Chiesa, tra il dicembre 543 e il gennaio 544, reintroducendo il celibato per i religiosi e vietando i matrimoni tra parenti prossimi.[1] Per lo scià Cosroe I l'esempio di Aba, convertito dallo zoroastrismo al cristianesimo, divenne pericoloso: bisognava evitare che le conversioni aumentassero. Quando però il clero zoroastriano lo condannò a morte per apostasia, lo scià intervenne in suo favore e fece commutare la pena capitale con l'esilio:[6] Mār Abā trascorse quindi un durissimo esilio di sette anni in Azerbaigian;[2] al suo ritorno a Seleucia fu messo in prigione, dove morì[2] nel 552.[4] Suoi discepoli furono Paolo di Nisibi e Tommaso di Edessa.[4]
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