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Solita forma è una locuzione coniata nel 1859 dal musicologo e compositore Abramo Basevi[1] (ma già anticipata nel contenuto da Carlo Ritorni nel 1841[2]) e rimessa in circolo come definizione da Harold S. Powers[3] per descrivere la struttura (forma) standard (e dunque solita) del duetto operistico negli anni dell'Ottocento. La definizione si intende estesa anche all'aria solistica, ai concertati e ai finali.
Il musicologo americano Philip Gossett ha spesso usato la definizione di doppia aria o forma multipartita[4] per il tipo di struttura utilizzato, ovvero un'aria divisa da un tempo di mezzo e intervallata da pertichini per conferire dinamicità.
Generalmente la solita forma si articola nelle seguenti sezioni (sono sempre possibili varianti ed eccezioni):
La solita forma | |
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Duetto | Es. Lucia di Lammermoor, duetto Lucia – Edgardo, Atto I
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Aria solistica | Es. La traviata, Scena ed Aria di Violetta, Atto I
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Finale d'atto concertato | Es. Lucia di Lammermoor, Atto II, Finale
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Nell'aria e nel duetto la sequenza cantabile-tempo di mezzo-cabaletta è preceduta di norma dalla scena; nei finali può invece essere preceduta da cori, danze, marce, brevi ariette o duettini, pezzi caratteristici[5].
Il carattere dinamico del tempo d'attacco e del tempo di mezzo, carichi di azioni drammaturgiche, si alterna a quello statico del cantabile e della cabaletta, momenti in cui emergono le passioni e la psicologia dei personaggi[5].
Come fa notare Giorgio Pagannone, il modello della "solita forma" è sufficientemente flessibile da potersi adattare a situazioni diversissime, e da permettere un numero amplissimo di varianti macro- e microformali [6].