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Io e il vento | |
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Titolo originale | Une histoire de vent |
Paese di produzione | Francia |
Anno | 1989 |
Durata | 80 min |
Genere | fantastico, documentario |
Regia | Joris Ivens |
Sceneggiatura | Joris Ivens e Marceline Loridan |
Musiche | Michel Portal |
Interpreti e personaggi | |
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Io e il vento è un film del 1989[1] diretto da Joris Ivens,con la collaborazione della moglie Marceline Loridan.
Il protagonista del film è il regista stesso, novantenne infermo e tormentato dall'asma, che decide di tornare in Cina per realizzare quello che era il suo sogno fin dall'infanzia: catturare il vento. Viaggia con la sua troupe da montagne impervie fino al deserto, dove riesce finalmente nel suo intento con l'aiuto di una stregona. Il tutto è inframmezzato dalle suggestioni e dai ricordi, che si concretano in sequenze altamente liriche ispirate a tradizioni e leggende cinesi o alla storia del cinema.
Il film è stato girato in Cina. Il dialoghi sono in cinese, francese ed inglese. La versione italiana mantiene questa molteplicità di linguaggi limitandosi a sottotitolare il film, senza doppiarlo.
Joris Ivens, intervistato da Aldo Tassone nel 1985[2], dichiara:
Il flusso poetico delle immagini incontra il flusso poetico delle parole[3]:
All'inizio del film una didascalia spiega[4]:
Documentario e fiction, Une histoire de vent è una sintesi dell'opera di Ivens. Due citazioni di suoi film precedenti lo testimoniano:
Alla Storia del cinema e al cinema fantastico rende omaggio la sequenza del sogno: Ivens in cappa da mago esce dalla bocca del faccione della Luna di Viaggio nella luna di Georges Méliès. Il tema del potere creativo del cinema è sottolineato più volte nel film e diventa esplicito nella sequenza dell'esercito di terracotta. La vita del Vecchio Uomo è tutta nella sua arte: l'ultima immagine, estremo segno del suo passaggio su questa terra, è una sedia vuota, la sedia del regista.[5]
Ivens, nel 1985, quando ancora il film è un progetto, dichiara in un'intervista ad Aldo Tassone: "E il vento? È a un tempo il protagonista e la chiave metaforica che mi serve per compiere il viaggio nel passato. Prima che in senso metaforico, il vento va inteso qui in senso fisico: il vento entra nella storia dell'umanità, la influenza, a volte la condiziona. Si pensi ai trasporti marittimi e fluviali: per migliaia di anni la civiltà ha camminato sulle ali del vento (non a caso la giunca è un po' il simbolo della Cina). Il vento può seminare anche la morte: i popoli che vivono vicino ai grandi deserti lo sanno molto bene."[6] Il tema del vento, come un filo rosso, percorre l'opera di Ivens: già nel 1965 aveva girato il documentario in tre parti Pour le Mistral.
In un'intervista a Cahiers du cinéma[7], Ivens confida: "In questi ultimi dieci anni ho molto ripensato al mio lavoro passato, a quello in cui ho creduto, alle utopie, alle ideologie molto rigide, e il vento, credo, porta via tutto." Con Une histoire du vent prende distanza da quel coinvolgimento ideologico che gli era stato rimproverato quando aveva girato Come Yukong spostò le montagne:
Anziché in riprese esterne la sequenza è girata in uno studio cinematografico: un oratore vanta i successi del Nuovo Piano Agricolo; atleti si allenano con volteggi e acrobazie; sposi novelli mostrano orgogliosi la casa moderna e gli elettrodomestici; un coro di bambini canta un inno di propaganda; soldati-turisti posano davanti ad una muraglia cinese di cartapesta. Il buffone Sun Wukong stacca la spina al microfono e toglie la parola al politico, l'altoparlante diffonde musica pop occidentale. Il regista si allontana indossando la maschera del buffone.
Le autorità cinesi impediscono a Ivens di filmare in libertà i famosi guerrieri d'argilla. Infuriato, il regista abbandona il museo, fa comprare ai suoi collaboratori tante imitazioni dei guerrieri e li schiera come un'armata. Diretti dal suo bastone/bacchetta magica essi si animano: è la rivincita dell'arte e dell'immaginazione sull'ottusità burocratica.
Il vento è anche alito, respiro.
Questo modo di concepire la vita e la morte è molto vicino al pensiero taoista: "La vita umana nasce da un soffio e ritorna al soffio, la morte è divenire vento, divenire impercettibile".[8] ma trova riscontro anche nel Vangelo di Giovanni: "Il vento soffia dove vuole, tu ne senti il rumore, ma non sai da dove viene o dove va. È così di ogni uomo che è nato da un soffio dello Spirito".[5] [9]
Ivens da bambino sogna di volare in Cina col suo aereo giocattolo (prima sequenza del film). Alla fine della vita torna per la quarta volta in Cina a filmarne la civiltà millenaria: "Une histoire de vent traccia simultaneamente due percorsi: uno visibile che conduce il vecchio Uomo a incontrare i miti, le leggende e la storia vertiginosa della Cina; l'altro, più segreto, che serpeggia e spazia attraverso la diversità dei paesaggi. È nel dialogo, nel confronto fra Oriente e Occidente, che risiede il senso dell'autoritratto e, più precisamente, nel rapporto fra due visioni di uno stesso universo."[10] Leggende e miti citati:
Il film cerca di captare le segrete mutazioni del paesaggio. Stabilisce un'equivalenza fra le dune del deserto, i paesaggi erosi e le rughe scavate sul viso del Vecchio Uomo. La collera prende il ritmo degli elementi naturali scatenati. Il deserto è il vuoto dell'attesa. Con il montaggio, Une histoire de vent traduce lo scambio possibile fra gli elementi: dopo l'incontro con il Buddha di Leshan, le immagini del tifone e del maremoto lasciano il posto ai denti di pietra di una montagna frastagliata; all'immagine della risacca di Les Brisants succedono le vette del Monte Taishan, avviluppate in nuvole ondeggianti, il cui movimento riproduce i pinnacoli di pietra. Diversamente lo sforzo degli uomini che portano il Vecchio Uomo, le lunghe panoramiche ascendenti conferiscono alla montagna sacra la sua potente verticalità.[12]
Il musicista Michel Portal compone un accompagnamento sonoro che cerca di ricreare la voce del vento: il clarinetto, le percussioni e altri strumenti a fiato producono suoni come soffi e respiri, il ritmo ha l'andamento delle giravolte del vento.