Oggi parleremo di Discorso di Giacomo Matteotti del 30 maggio 1924, un argomento che ha catturato l'attenzione di molte persone negli ultimi tempi. Discorso di Giacomo Matteotti del 30 maggio 1924 è un argomento che copre diversi aspetti e può essere interpretato in modi diversi a seconda dell'approccio che gli viene dato. Dal suo impatto sulla società alla sua rilevanza nella storia, Discorso di Giacomo Matteotti del 30 maggio 1924 ha suscitato un vasto interesse ed è per questo che vogliamo approfondire questo argomento per comprenderlo meglio ed essere consapevoli di tutte le implicazioni che comporta.
«Mussolini, (...) irritato del discorso e con quei trapassi impulsivi propri del suo temperamento vendicativo e minaccioso, ebbe a dire: "quell’uomo dopo quel discorso non dovrebbe più circolare"»
In base alla nuova legge elettorale (legge 18 novembre 1923 n. 2444, nota come legge Acerbo), alla lista più votata a livello nazionale - purché avesse almeno il 25% dei voti validi - venivano assegnati i 2/3 dei seggi in tutte le circoscrizioni, mentre gli scranni rimanenti erano assegnati alle altre liste in proporzione ai voti ottenuti e secondo ordine di preferenza personale.
La consultazione, tuttavia, si svolse in un grave clima di intimidazione e di ripetute violenze da parte dei sostenitori del Partito Nazionale Fascista. Il candidato socialista Antonio Piccinini fu ucciso, altri candidati di sinistra furono feriti, ovunque furono impediti i comizi, bruciati i giornali, impedito l'affissione dei manifesti, anche attaccando le stamperie. Vi furono brogli anche superiori alla media (alta) dell'Italia dell'epoca. In diverse circoscrizioni, soprattutto meridionali, il voto non fu esercitato in condizioni di libertà, ma in maniera palese e con la presenza di esponenti fascisti nei seggi e nelle cabine elettorali, mentre i prefetti ebbero ordini di contrastare l'astensionismo convogliando voti a favore del governo, il che rende rimarchevole il risultato delle opposizioni. Inoltre il listone nazionale di Mussolini aveva assorbito le macchine elettorali di molti partiti di centro e di centro destra, e transfughi (detti "traditori") del sardismo e del partito popolare, garantendosi una base elettorale più larga del semplice fascismo, oltre che vari specialisti del voto di scambio.
Il risultato fu quindi ampiamente favorevole alla lista governativa, con l'elezione in blocco di tutti i suoi 356 candidati. Al momento di convalidare le decisioni della Giunta delle elezioni, diversi parlamentari di minoranza segnalarono proteste per le modalità di voto in alcune circoscrizioni (Abruzzi, Campania, Calabria, Puglie e Sicilia) e fu presentata una richiesta da parte degli onorevoli Arturo Labriola, Giacomo Matteotti ed Enrico Presutti per il rinvio degli atti alla Giunta.
Contenuti del discorso
Il 30 maggio 1924 Matteotti prese la parola alla Camera dei deputati per contestare i risultati delle elezioni tenutesi il precedente 6 aprile. Mentre dai banchi fascisti si levavano contestazioni e rumori che lo interrompevano più volte (un deputato fascista, Giacomo Suardo, abbandonò l'aula per protesta), Matteotti denunciò una nuova serie di comprovate violenze, illegalità e abusi commessi dai fascisti per riuscire a vincere le elezioni in un discorso che sarebbe rimasto famoso:
« Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. L'elezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. Per vostra stessa conferma (dei parlamentari fascisti) dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà... Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse»
Matteotti chiuse infine il discorso con le parole seguenti:
«Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni»
Terminato il discorso disse rivolgendosi a Giovanni Cosattini[3][4] seduto accanto a lui, indirettamente ai suoi compagni di partito:
«Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me.[5][6][7][8]»
Il 24 giugno il senatore Luigi Albertini, in un intervento al Senato, riassunse alcuni aspetti del discorso di Matteotti.
«L'on. Matteotti osservò testè alla Camera nel discorso che gli valse la condanna a morte, che l'on. Mussolini non si sentiva soggetto al responso delle elezioni e che aveva lasciato capire come anche in caso di insuccesso avrebbe mantenuto il potere con la forza armata. Un sì clamoroso della maggioranza e un cenno assertivo del capo del Presidente del Consiglio confermarono l’affermazione del deputato socialista. Orbene, quel sì, quel cenno del capo si prestano meglio della più ampia dissertazione a descrivere l’illegalità di una situazione politica, la quale si può riassumere così: se c’era il consenso, il fascismo e il suo capo ne prendevano atto molto volentieri; ma, se il consenso fosse mancato, il potere sarebbe stato tenuto con la forza.»
Trasporto del corpo di Matteotti al Cimitero di Riano
La proposta di Matteotti di far invalidare l'elezione almeno di un gruppo di deputati - secondo le sue accuse, illegittimamente eletti a causa delle violenze e dei brogli - venne respinta dalla Camera con 285 voti contrari, 57 favorevoli e 42 astenuti[10]. Renzo De Felice ha definito «assurda»[11] l'interpretazione di questo discorso come una richiesta di Matteotti basata su una realistica possibilità di ottenere un successo: secondo lo storico, Matteotti non mirava realmente all'invalidamento del voto, bensì a dare il via dai banchi della Camera a un'opposizione più aggressiva nei confronti del fascismo[12], accusando in un colpo solo sia il governo fascista che i «collaborazionisti» socialisti[13]. Una volontà di opposizione intransigente che aveva già espresso in una lettera a Turati precedente alle elezioni:
«Innanzitutto è necessario prendere, rispetto alla Dittatura fascista, un atteggiamento diverso da quello tenuto fino qui; la nostra resistenza al regime dell'arbitrio dev'essere più attiva, non bisogna cedere su nessun punto, non abbandonare nessuna posizione senza le più decise, le più alte proteste. Tutti i diritti cittadini devono essere rivendicati; lo stesso codice riconosce la legittima difesa. Nessuno può lusingarsi che il fascismo dominante deponga le armi e restituisca spontaneamente all'Italia un regime di legalità e libertà, perciò un Partito di classe e di netta opposizione non può accogliere che quelli i quali siano decisi a una resistenza senza limite, con disciplina ferma, tutta diretta ad un fine, la libertà del popolo italiano[14].»
In questa sua intransigenza - tuttavia - Matteotti non riusciva a trovare un collegamento con l'operato e l'ideologia dei comunisti, che vedevano tutti i governi borghesi uguali fra loro e quindi da combattere indifferentemente:
«Il nemico è attualmente uno solo, il fascismo. Complice involontario del fascismo è il comunismo. La violenza e la dittatura predicata dall'uno, diviene il pretesto e la giustificazione della violenza e della dittatura in atto dell'altro[15].»
Il discorso del 30 maggio, secondo lo storico Giorgio Candeloro, «diede a Mussolini e ai fascisti la sensazione precisa di avere di fronte in quella Camera un'opposizione molto più combattiva di quella esistente nella Camera precedente e non disposta a subire passivamente illegalità e soprusi».[16]
Il 1º giugno Il Popolo d'Italia pubblicò in prima pagina un articolo, nel quale era indicato esplicitamente Matteotti come principale oppositore.[17] L'articolo non era firmato, ma fu scritto da Mussolini;[18] una copia del manoscritto venne conservata dal suo segretario Fasciolo,[19] che nel 1926 fu sanzionato proprio per i «documenti di carattere riservato sottratti al Capo del Governo».[20]
«Mussolini ha trovato fin troppo longanime la condotta del governo, perché l'on. Matteotti ha tenuto un discorso mostruosamente provocatorio che avrebbe meritato qualcosa di più tangibile che l'epiteto di "masnada" lanciato dall'on. Giunta.[17]»
Pochi giorni dopo, il 4 giugno1924, durante una discussione alla Camera, Matteotti ebbe un battibecco con Mussolini, ricordandogli l'approvazione data nel 1919 da Il Popolo d'Italia al decreto di amnistia per i disertori.[21]
Il 10 giugno 1924, poco dopo le ore 16, Giacomo Matteotti uscì di casa a piedi e fu aggredito e caricato a forza su un automobile da cinque individui, in seguito identificati come i fascisti Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Nell'auto Matteotti cercò di reagire, ma fu sopraffatto e accoltellato. Il corpo, sepolto nella macchia della Quartarella a Riano, fu rinvenuto solo il 16 agosto.
L'11 giugno ripresero i lavori alla camera con la discussione su «esercizio provvisorio degli stati di previsione dell'entrata e della spesa»,[22] tema per cui si era iscritto a parlare anche Matteotti; secondo diverse fonti dell'epoca era previsto che il suo intervento fosse incentrato sulla denuncia dell'affarismo e della corruzione di esponenti fascisti, in particolare per le concessioni petrolifere e per le licenze per le bische.[23]
^Archivio di Stato di Roma, Fondo Matteotti, volume 78 (interrogatori imputati), Verbale dell'interrogatorio di Cesare Rossi (trasmesso dall'Alto commissario aggiunto per la punizione dei delitti del fascismo l'11 gennaio 1945) reso nei giorni 9-14-15-16-17-18 del luglio 1944 nelle carceri giudiziarie di Salerno.
^Secondo altre fonti, la frase esatta fu «Ed ora preparatevi a farmi l'elogio funebre» rivolta verso l'On. Costantini. «Uccidete pure me, ma l'idea che è in me non l'ucciderete mai.», su Il Blog di Pier, 23 luglio 2011 (archiviato dall'url originale il 23 luglio 2011).
^ C. Treves, Filippo Turati, Avanti!, 1945, p. 39.
^La situazione analizzata dal sen. Albertini, in Corriere della Sera, 25 giugno 1924, p. 1.
^Renzo De Felice, Mussolini il fascista, Einaudi, Torino, 1995, p. 617 n.
^«Il suo vero scopo era quello di inaugurare dalla tribuna più risonante d'Italia, dalla Camera, e fin dalle primissime battute della nuova legislatura, un nuovo modo di stare all'opposizione, più aggressivo, intransigente, violento, addirittura». In R. De Felice, Mussolini il fascista cit.
^«Un discorso di doppia opposizione, contro il governo fascista, contro il fascismo tout court, ma anche e forse soprattutto, contro i collaborazionisti del proprio partito e della CGL». In R. De Felice, Mussolini il fascista, cit., p. 618.
^Filippo Turati attraverso le lettere di corrispondenti (1880-1925) a cura di A. Schiavi, Laterza, 1947, p. 247
^A. G. Casanova, Matteotti: una vita per il socialismo, pag.225
^abSobrero (JPG), in Il Popolo d'Italia, 1º giugno 1924, p. 1.
^ G. Rossini, Il delitto Matteotti tra il Viminale e l'Aventino, Bologna, Il Mulino, 1966, p. 465. È riprodotta la lettera di Carlo Bazzi che, dalla Francia, inviò la prova che Mussolini «ha scritto di suo pugno l'articolo in cui appare il periodo in questione». Per la copia fotografica del manoscritto si veda Il signor Sobrero, su Senato della Repubblica. Patrimonio dell'Archivio Storico.
Pietro Saccò, Cronologia di Giacomo Matteotti, in Angelo Guido Sabatini (a cura di), Giacomo Matteotti a novant'anni dalla morte 1924 - 2014, Tempo presente, n. 400-402.